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(Firenze 1881 — ivi 1956), scrittore. Di modesta famiglia di artigiani è il protagonista e l'animatore della cultura fiorentina dei primi anni del Novecento. Iscrittosi come uditore all'Istituto di Studi Superiori, fonda, nel 1903, con l'amico Giuseppe Prezzolini, "Il Leonardo"
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con l'intento di promuovere una rigenerazione antiaccademica della cultura italiana. Diviene poi caporedattore del "Regno" di Enrico Corradini. Durante la sua permanenza a Parigi conosce James, Péguy, Gide e Bergson. Cessate, nel 1907, le pubblicazioni del "Leonardo", l'anno successivo diviene collaboratore della "Voce". Nel 1911 fonda, con Giovanni Amendola, "L'Anima" e nel 1913, con Ardengo Soffici, "Lacerba", organo del futurismo fiorentino. Dopo la Conversione al cattolicesimo nel 1921, e la rinuncia alla cattedra di letteratura italiana all'università di Bologna offertagli dal regime, a causa delle precarie condizioni di salute, nel 1937 è nominato accademico d'Italia e chiamato alla presidenza dell'Istituto di Studi sul Rinascimento di Firenze. Dal 1938 al 1944 dirige il periodico dell'istituto "La Rinascita" e rifiuta di presiedere l'Accademia d'Italia, offertagli dalla Repubblica di Salò, dopo l'uccisione di Giovanni Gentile. Nel periodo 1940-1950 collabora al "Corriere della Sera" e, dal 1946, alla rivista "L'Ultima".
Lo scrittore nasce in via Pietrapiana il 9 gennaio 1881, da Luigi Papini e Erminia Cardini, e trascorre il primo anno di vita presso l'Istituto degli Innocenti, in piazza della Santissima Annunziata, non essendo possibile il riconoscimento della paternità, in quanto figlio di genitori non ancora sposati.
In data 10 agosto 1882 è riconosciuto dalla madre come figlio naturale ma non esiste documentazione relativa all'abitazione del piccolo Giovanni in quegli anni e, quindi, se abbia o meno abitato nella casa materna, di cui peraltro non è possibile individuare il domicilio di allora. A tre anni è affidato alle cure di una maestra e, dal 1885, frequenta istituti privati. Soltanto dopo il matrimonio dei genitori, venuto nel 1888, Giovanni acquisisce il cognome del padre ed è inserito, per la prima volta, nel certificato di famiglia dei genitori.
In effetti lo scrittore ha sempre ricordato gli anni dell'infanzia come un periodo d'isolamento e di solitudine, al punto di affermare di non essere mai stato bambino: "No: io
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non ho mai conosciuto la fanciullezza. Non ricordo affatto d'essere stato bambino [...]. Fin da ragazzo mi sono sentito tremendamente solo e diverso, né so il perché. Forse perché i miei cari eran poveri o perché non ero nato come gli altri? [...] E mi si stringe il cuore ripensando a tutti quei giorni smorti, quegli anni infiniti; a quella vita rinchiusa, nostalgia incancellabile di altri cieli e di altri camerati [...]. Io vi ripeto che non ho avuto fanciullezza".
Il primo domicilio documentato dello scrittore è quello di una casa in via Ghibellina 115 (già 97) in cui la famiglia abitava quando il piccolo Giovanni frequentava la scuola elementare Dante Alighieri, in via dei Magazzini, insieme all'amico Ettore Allodoli, che in seguito ricordava quella casa "con una scala tortuosa, un numero spaventoso di scalini stretti e fitti, incassata tra le pareti, che se uno scendeva mentre un altro saliva bisognava aspettare l'incrocio nel piccolo spazio d'un pianerottolo. La stanza di raccoglimento (di Papini n.d.r.) era libera e dava sulle scale. Di là si vedeva una fuga di tetti [...]. Uno stabile lungo e stretto, a cinque piani, ma il quinto dalla strada non si vedeva, né ora si vede, messo lassù come un rifugio di fortuna per anime in soprannumero, in un gran mare di tegoli [...]. La famiglia Papini stava al quarto, undici scalini più giù. In voltare. Luce elettrica poco o niente, candele a mano. Le poche lampadine da presepe erano sempre spente; forse per una clausola del contratto di locazione, data la severa regolarità con cui tutti si guardavano bene dal sostituirle o dal farle accendere. Un paio di finestrelle era come se non ci fossero. Tutti motivi per i quali in ogni ora del giorno, ma la sera specialmente, lungo quella specie di campanile laico era tutto un chiamare e un rispondere di voci di ragazzi e di adulti; le prime per chiedere che qualcuno scendesse, le seconde per assicurare che 'sì, ora si viene', 'non c'è nessuno, non aver paura!'
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Paura un po' di tutto: del buio, degli spiriti, dei ladri, e della gran tristezza che scendeva e saliva su quelle pareti con un senso come dì luogo disabitato chissà mai da quanti anni, delle troppe porte chiuse, tutte piccole e scure come quelle delle sagrestie".
Da quell'abitazione la famiglia Papini si trasferisce, a vent'anni, all'ultimo piano di una casa in Borgo Albizi 14. "Poco dopo che l'ebbi conosciuto" - scrive Giuseppe Prezzolini - "tornò in Borgo degli Albizi, in una dimora migliore di quella in via Ghibellina dov'ero andato a trovarlo le prime volte. L'entrata era spaziosa, la scala quasi solenne e gli avevan dato per la prima volta in vita sua una stanza tutta per lui, grande, piena di luce, per via di due finestre sul davanti che guardavan a spiombo su una piazzetta e aprivan quindi una gran vista sui tetti e sulle torri di Firenze medievale: una stanza grande di cui era molto glorioso e contento, nuda, salvo certi scaffaletti, coi volumini uno diverso dall'altro, una ciscranna sfondata e due seggiole impagliate, mobili di scarto dell'azienda paterna".
In seguito, da quella casa, lo scrittore si trasferisce, con la giovane moglie Giacinta, prima a Varlungo poi in via Vittorio Emanuele, nella zona di Montughi allora in aperta campagna: "Un altro giorno" — ricorda Ardengo Soffici — "fui condotto dallo stesso Papini in una casa di via Vittorio Emanuele, dov'egli, da quella di Borgo degli Albizi, era passato, senza mia saputa, ad abitare. Mi figuravo di trovarmi anche sua madre ed i suoi fratelli e sorella: non vi trovai che una giovane donna, di belle e floride forme, la quale entrò nella stanza, in cui l'amico mi aveva introdotto [...]. Era, mi disse, sua moglie [...] la quale egli aveva poc'anzi sposata senza le comunali cerimonie di partecipazioni e d'inviti, e che il mio amico s'era portata li come in un nido d'amore".
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Nell'aprile del 1908 Papini si trasferisce per la prima volta a Bulciano, nell'alta Val Tiberina, iniziando da allora una consuetudine che lo vedrà trascorrere in quella casa lunghi periodi e mesi estivi. Un'abitazione che, purtroppo, andrà semidistrutta durante il passaggio del fronte nella Seconde Guerra Mondiale e che lo scrittore venderà nel 1950.
Nel 1909 la famiglia Papini si sposta all'ultimo piano di una casa in via dei Bardi 6, "appollaiata in cima ai tetti come un abbaino. Una vecchia casa" - ricorda Alberto Viviani - "quasi in faccia al principio di Costa Scarpuccia a un quinto piano sopra i tetti. Una casa modestissima che pareva proprio il nido adatto per 'Gianfalco' come egli ai tempi del 'Leonardo' amava firmarsi". In quella casa "il suo unico studio era una stanzetta molto angusta, più lunga che larga con l'unica finestra a livello d'un tetto. Un abbaino poco distante limitava la vista e si scorgeva a malapena a destra un ciuffo di alberi lontani e a sinistra un pezzo di cielo rigato da qualche parafulmine e da una raggiera di fili elettrici".
Lo scrittore frequenta naturalmente anche le Giubbe Rosse in cui "tra gli amici, resta al suo angolo di caffè, preoccupatissimo ad accendere una dopo l'altra, un numero infinito di sigarette: e dietro quelle sue terribili lenti sembra che non guardi nessuno. Se non fosse per alcune cose gentili che gli escono dette in modo sgarbato o per le cattiverie e malignità che dice invece di tanto in tanto in tono innocente, si direbbe che Papini è lì che si secca mortalmente: in mezzo agli altri".
Nel 1911 fonda la rivista "L'Anima" insieme a Giovanni Amendola che, giunto a Firenze per sostituire Guido Ferrando alla direzione della Biblioteca Filosofica di piazza Donatello, va ad abitare dapprima in un appartamentino che gli amici gli avevano trovato in via Scialoia 29 e, poco dopo, con la famiglia, "in quattro stanze" in via Pier Capponi.
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Successivamente Papini va ad abitare in via Colletta 10, "una strada fuori mano, silenziosa e alberata, di Firenze nuova", presso l'attuale piazza Oberdan, in "una casetta linda, a due piani, dalle finestre verdi e dall'intonaco chiaro [...]. Papini se ne stava seduto dietro un enorme tavolo di carte, in fondo alla camera. Tutto intorno le pareti erano coperte da scaffali e da libri. Nello studio, una luce calma, che veniva da due finestre aperte sulla strada".
Da qui si trasferisce, nel marzo del 1924, in via Vico 3, in un condominio poco distante dalla precedente abitazione ma nella quale non si sentì mai a suo agio a causa, soprattutto, della poca educazione dei vicini: "Sopra il suo appartamento abitava infatti una famiglia numerosa e rumorosa: i ragazzi con il loro chiasso lo infastidivano e le donne, nel far le loro faccende, avevano poco riguardo, calando perfino lenzuoli e coperte ad asciugare proprio davanti alla finestra del suo studio, togliendogli la luce". Seccato dalla situazione Papini vende la casa all'amico d'infanzia Ettore Allodoli e, nel 1937, si trasferisce definitivamente nel villino di via Guerrazzi, allora al n. civico 10.
Questa era "una bella costruzione solida, quadrata, col lato frontale spezzato da un avancorpo. La facciata color giallo spento, ricca di motivi ornamentali un po' in stile Liberty, senza però essere pesanti o decadenti. Costruita di due piani, un sottosuolo abitabile e un grande solaio. Vi è annesso un giardino (detto 'gli Orti del Guerrazzi' per gli incontri domenicali dello scrittore con gli amici artisti, poeti e scrittori), un garage e una serra [...]. Una bella villa ottocentesca insomma ombreggiata, a levante, da palme e tigli e a nord, da un alto cedro. Un grande cancello sul davanti che nessuno apre mai e un cancellino vicino sullo stesso lato che ne rappresenta il vero ingresso. Lo studio di Papini era quello La cui finestra resta a destra della porta d'ingresso. Il muretto di
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rossi mattoni, fatto a scacchiera, fra i due ingressi era sempre ricoperto da edera e di alloro mentre in fondo, dietro alla villa, lo spazio era usato come orto". In questa casa Papini abítò fino al momento della sua scomparsa avvenuta nel luglio del 1956. Lo scrittore è sepolto nel Cimitero Monumentale delle Porte Sante, presso la Basilica di San Miniato al Monte.
Bibliografia
Pietro Pancrazi, Ragguagli di Parnaso 1919-1920, Vallecchi Editore, Firenze 1920
Giovanni Papini, Un uomo finito, Vallecchi Editore, Firenze 1922.
Papini, settant'anni, Vallecchi Editore, Firenze 1951.
Giuseppe Prezzolini, L'italiano inutile, Longanesi, Milano 1953.
Alberto Viviani, La maschera dell'orco, Bietti, Milano 1955.
Vittorio Franchini, Papini intimo, Cappelli Editore, Bologna 1957.
Giovanni Papini, Il muro dei gelsomini, a cura di Viola Paszkowski Papini. Società Editrice Internazionale, Torino 1957.
Papini vivo, Vallecchi Editore, Firenze 1957.
Eva Amendola Kuhn, Vita con Giovanni Amendola, Parenti Editore, Firenze 1960.
Alberto Viviani, Giubbe Rosse 1913-1915, G. Barbera Editore, Firenze 1964
Giovanni Papini 1881-1981, Catalogo della Mostra a cura dì Marco Marchi e Jole Soldateschi. Firenze, Palazzo Medici Riccardi 19 dic. 1981 - 14 feb. 1982. Nuovedizioni Vallecchi, Firenze 1981.
L'Archivio della Fondazione Primo Conti. Guida, premessa di Gloria Manghetti. Società Editrice Fiorentina, Firenze 2007
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